"L'Enigma di Piero" e l'identità culturale italiana

Piero della Francesca è stato uno degli artisti più influenti non solo del Rinascimento ma anche dell’età moderna. Secondo Roberto Longhi si deve la sua riscoperta postimpressionista a Cezanne e Seurat - divenendo poi un “modello” per correnti come la Metafisica, il Realismo magico, la Scuola Romana e per artisti come Carrà, Casorati, Morandi, Balthus, Hopper…

Ho voglia di condividere la sintesi di una mia recente lettura che mi ha molto coinvolto e che ci ricorda quanto l’arte sia un’importante testimonianza della nostra identità: “L’Enigma di Piero. L'ultimo bizantino e la crociata fantasma nella rivelazione di un grande quadro"
Attraverso lo studio della “Flagellazione” - dipinto da Piero della Francesca intorno al 1460 ca. - Silvia Ronchey ci fa addentrare in una lettura caleidoscopica su un tratto fondamentale della nostra storia. Tra le trame di una “detective story”, un manuale storiografico e uno studio iconografico, si riscoprono personaggi e accadimenti che spiegano bene perché l’occidente si sia progressivamente distaccato dagli interessi per Bisanzio e dalla sua memoria (lasciandone l’eredità dinastico-religiosa a Mosca, la “terza Roma”) sebbene proprio ai bizantini si debba un determinante impulso alla base del Rinascimento italiano.

Tra identikit e ricostruzioni simboliche si scopre che la “Flagellazione” possa aver rappresentato un grande sogno nel progetto politico-religioso di un’alleanza filobizantina: un invito alle armi per riprendere Bisanzio caduta in mano turca nel 1453; riunire la Chiesa latina con quella greca (divise dal 1054) e rifondare l’impero romano unitario (diviso dal 395) anche con il contributo delle grandi signorie italiane già imparentate con i porfirogeniti, gli eredi imperiali d’oriente.

Gesù flagellato pare dunque incarnare il simbolo di Bisanzio e la scena diplomatica sembra ambientata a Ferrara (vi si riconosce il ritratto di Niccolo d’Este - il committente? - e il campanile progettato da Leon Battista Alberti; campanile che, nota personale, ho l’onore di aver contribuito a restaurare negli anni ’90 in un mio passato da restauratore d’arte).
Proprio a Ferrara nel 1438 arrivò per la prima volta un’enorme delegazione da oriente capeggiata dall’imperatore di Bisanzio, il Basileus Giovanni VIII Paleologo, per trattare la riunione delle Chiese e ottenere dall’occidente un aiuto in vista della progressiva avanza turca (il dipinto è del 1460 ca. ma la scena rappresentata è fatta risalire al 1438).

L’unione delle Chiese si fece, per poco, prevalentemente solo sulla carta. Il progetto di riunificazione tra le due Rome fallì per via dell’incapacità degli occidentali di organizzare il soccorso.
Il colpo di grazia di quella grande ambizione svanì definitivamente nel 1472 con le nozze tra l’ultima discendente al trono di Bisanzio, Zoe Paleologina (alle nozze cattolica, poi tornata di fede ortodossa), e il Gran Principe di Mosca, Ivan III Vasilevic - divenendo così il primo sovrano russo “csar” (caesar, c’zar, zar - titolo assunto ufficialmente da Ivan IV) come successore dell’impero bizantino e difensore della chiesa ortodossa (definitivamente divisa dalla latina)

Alla realizzazione della “Flagellazione” era ancora viva la speranza di un’ultima crociata. E forse quel dipinto trasportabile aveva proprio la funzione di accompagnare delegazioni diplomatiche alla ricerca di supporti militari.

Se questa storia è infine la cronaca di una grande delusione, d’altra parte segna anche l’inizio di un ulteriore grande impulso all’identità culturale italiana.
Con la delegazione bizantina del Basileus giunsero infatti nella penisola anche il filosofo Gemisto Pletone e l’allievo Bessarione, un grandissimo personaggio (identificato anche nel dipinto di Piero) divenuto in seguito cardinale e persino candidato al soglio pontificio per ben due volte.
A Pletone e Bessarione si deve una forte diffusione del pensiero classico in Italia con la conseguente fioritura delle accademie neoplatoniche. A Bessarione in particolare si deve anche il preziosissimo lascito di testi classici greci salvati dalla distruzione turca - un tesoro inestimabile che costituisce la base della biblioteca Marciana di Venezia. Perchè a Venezia e non a Roma? La “repubblica veneziana era quanto di più vicino al modello di costituzione mista, compromesso di monarchia, aristocrazia e democrazia, teorizzata da Platone e Aristotele. Se non a uno stato ideale, quanto meno Bessarione lasciava il DNA bibliofrafico di Bisanzio a un vero stato, che ne avrebbe garantito la fruizione collettiva” (Ronchey).

Concludo con alcune note curiose (tra altre mille):
le spoglie di Pletone riposano ancora oggi nel tempio malatestiano di Rimini - recuperate da Sigismonodo Malatesta in occasione di un ultima disperata crociata a Mistrà, nel Peloponneso già invaso dai turchi;
un altro grande personaggio influente per la cultura italiana muore a Ravenna, Bessarione (come Dante… “Ravenna est la ville de morts”);
un affresco della sala Baglivi all’Ospedale di Santo Spirito a Roma, attribuito al Cavalier D’Arpino, pare sia l’unica immagine dipinta in Italia a testimoniare le nozze “cattoliche” (disattese) tra l’ultima discendente (ortodossa) al trono di Bisanzio e il Gran Principe di Mosca.

Bello quando l’arte si faceva interprete di un mecenatismo che riconosceva nell’arte stessa un potente strumento di comunicazione strategica e un mezzo di diffusione della propria cultura e prestigio personale.

“Non c’è oggetto più prezioso, non c’è tesoro più utile e bello di un libro. I libri sono pieni delle voci dei sapienti, vivono, dialogano, conversano con noi, ci informano, ci educano, ci consolano, ci dimostrano che le cose del passato più remoto sono in realtà presenti, ce le mettono sotto agli occhi. Senza i libri saremmo tutti bei bruti” - Bessarione a Cristoforo Moro (doge di Venezia dal 1462 al 1471)


Lorenzo Marabini