| sHotlines |

|  sHOTLINES  |  spari su tela (shotgun on canvas) 205 x 70 cm (dittico)


sHotlines all' Accademia Italiana Tiro di Precisione Varide Cicognani, Forlì FC

"sHotlines" (gunshots on canvas)

di Lorenzo Marabini

La serie dei sHotlines (gunshots on canvas) esordisce deturpando la purezza della tela bianca con veri colpi di fucile. La tela è' vittima di una violenza. Diviene “corpo sacrificale” come un simbolo martoriato “sacro”, una reliquia, un monito. Rimane una traccia sorprendente dell'accaduto, una cicatrice come quella sul braccio dell'artista performer Chris Burden - che nella celebre performance Shoot, 1971 si fece sparare addosso da un assistente. La tela degli sHotlines preserva un senso di pericolosità immanente ed offre alla percezione dell'osservatore qualcosa come rapimento e sconcerto... qualcosa che forse si potrebbe definire come l'esperienza del sublime nel mondo contemporaneo: il gesto pericoloso diventa attraente; la tragedia diventa spettacolare e ci attrae. Forse abbiamo bisogno di alimentare questa morbosità per ottenere un effetto catartico, per contrastare la nostra consapevole fragilità dinanzi ad un mondo senza scrupoli...
Sparare sulle tele. Come William Burroughs. Al poligono. Un buco frontale, se lascia un'impronta significativa diventa una piccola "opera d'arte”. Da incorniciare. Ma lo sparo per il lungo, di striscio, segna il percorso del proiettile, il suo comportamento reale, che in un istante è anche capace di generare una traccia, una “linea rovente”, un segno creativo, tanto affascinante... quanto tremendamente distruttivo.


Gunshots |

di Ariberto Scolli (alias m° Roberto Prosseda)


Valicare il confine della materia, sondare inesplorate sacche spaziali e temporali: sono secoli che gli artisti rispondono a questa naturale (seppur potenzialmente distruttiva) pulsione. Rompere, superare, sublimare. Ciò che fa la differenza è il risultato: non basta certo un foro nella tela per creare Arte. E sono ormai lontani e inutili i tempi di simili provocazioni. Ma Lorenzo Marabini individua oggi un approccio sincero, chiaramente conseguenza di un lungo e sofferto percorso emotivo. E basta confrontare i suoi gunshots on canvas con i precedenti lavori figurativi per rendersene conto. Marabini è quindi un artista consapevole, che si confronta con il reale e tende a rappresentarlo soggettivamente, con riflessi, anche traumatici, delle proprie personali inquietudini – a tratti violente – solo dopo una sofferta scelta. E questa sofferenza, accettata con fatalismo e un minimo di cinico compiacimento, traspare pienamente dai suoi “spari su tela”. Già: perché è stato proprio lui il “killer”; è Marabini che ha scoccato i fatali colpi che trafiggono le tele. Gesti disperati, definitivi, eppure liberatori. Non concordiamo del tutto con quanto lo stesso artista afferma nelle sue note esplicative. Certo, la violenza è ineludibile e palpabile in queste opere. Ma noi avvertiamo un ancor più forte soffio vitale, un’energia sana ed inesauribile, che non può non esprimersi nelle mirate eppur deflagranti esplosioni che sottendono ai gunshots on canvas. E ci piace pensare che il proiettile agisca più come un pennello che non come un’arma da fuoco: spari-pennellate istantanee, inesorabili, fatali, non più correggibili, e in quanto tali ancor più intense e profondamente vissute. L’antica sapienza degli incisori cinesi trasferita nella moderna, globalizzata, cultura occidentale. Ecco dunque che la microfratture dell’ordito della tela assumono una valenza espressiva. La profondità e i riverberi delle penetrazioni aprono a una terza dimensione che disvela insospettate voragini della coscienza. Ma la pistola-pennello ne aveva già previsto le minime increspature, prima dello scoccare del colpo.
Il mirino della pistola diventa lo sguardo interiore. Opera concepita, proiettata e “messa a fuoco” nell’intimo dell’artista un istante prima di premere il grilletto. E basta un millisecondo per fissarla, inesorabilmente, nell’eternità.